venerdì 29 febbraio 2008

Consumo simbolico (2)

Questo processo è importante, e costituisce il vero cuore della strategia di comunicazione di marca, vorremmo indicarlo con un'espressione propria, che lo definisca, ed optiamo per "risemantizzazione della marca".Quello che abbiamo infatti appena descritto, è in realtà un processo di continuo aggiornamento e risignificazione della marca, in adeguamento alle mutevoli realtà del consumo. Esso vuol dire, in profondità, che una marca non può più contare su di un significato acquisito per sempre, che deve riconquistarlo costantemente. E comprendiamo anche meglio, ora, in che senso i consumatori siano coautori dell'agire di consumo e della stessa storia delle marche: perché attraverso l'integrazione fantastica anticipata, essi scrivono un proprio personale libro dell'agire di consumo ed una propria personale storia della marca. La marca si trasforma così da faccenda propria del produttore, da mero oggetto commerciale, in un fatto culturale di proprietà collettiva, scritto insieme dall'Azienda, dai suoi uomini di marketing, dai professionisti della comunicazione, e dai consumatori. Rientrando nell'ambito professionale, questa osservazione ci spinge immediatamente a formularne un'altra, sul problema della coerenza. Coerenza non può voler dire semplicemente linearità nel discorso della marca, anche se questa ne è componente essenziale. Non esiste coerenza vera se la strategia discorsiva non è in qualche modo concordata con il consumatore, o si svolge al di fuori del processo di risemantizzazione. Vi sono alcune teorie che sembrano ignorare questa importante funzione del consumatore.
Negare il valore relazionale e affettivo della marca, risolverla completamente in se stessa, è un errore che può costare molto caro, perché implica un potere di significazione quasi obbligante delle formazioni simboliche inerenti alla marca.
La via giusta è invece, come ci pare di avere osservato, quella che tende a coinvolgere il consuma nel processo, rendendogli possibile un'interpretazione personale dell'atto di consumo proposto dalla marca.

Consumo simbolico (1)

Non è tanto la realtà che conta, ma il modo in cui viene vissuta dai consumatori. La nostra ipotesi è che il consumo simbolico, che Giampaolo Fabris ha chiamato la "rivoluzione copernicana della pubblicità" stia schiacciando quello funzionale; e i valori dell'immaginario quelli d'uso. Dunque quella da noi descritta sarebbe una situazione schizofrenica tra un momento del significato simbolico dell'oggetto, che viene personalizzato divenendo una parte dell'espressione del sé, ed il momento reale, concreto, dell'uso strumentale.
Ora, per ritornare all'inizio di questo intervento, tutto questo pone certamente un grande problema di comunicazione, ma vorremmo notare subito che esso rende ancor più necessario, ancor più centrale, l'immaginario della marca. L'immaginario della marca diventa allora una specie di ponte tra il momento della richiesta di un agire di consumo solo espressivo della propria personalità e la realtà strumentale del prodotto. Dunque, al contrario di quello che si intende talvolta dire, la marca non è meno importante oggi, ma è al contrario più importante, proprio perché instaurando un rapporto di significato che il consumatore sente come proprio, essa può contribuire a ristrutturare il destrutturato agire di consumo. O, visto da un'altra prospettiva, se l'oggetto di consumo non è più il portatore di un significato globale (come poteva essere il caso dei beni di cittadinanza di Alberoni, o del passaggio a Nord Ovest di Fabris, che in fondo era la riproposizione di beni di cittadinanza a livello culturale), è l'immaginario di marca che deve farsi portatore di un progetto di senso, riferito all'agire di consumo di quella singola marca. Correttamente allora ne concludiamo che la marca, nonostante la realtà della "private labels" e d i problemi di rapporto con i consumatori, è ancora importante, anzi è ancora più centrale.
Certo esiste ancora un target, purché non si pensi di trovarlo già costruito attorno ad una qualche variabile del sociale o del mondo psichico, purché sostanzialmente lo si aggreghi attorno ad un progetto dell'agire di consumo, e lo si faccia attraverso la giusta strategia simbolico-affettiva, nel corretto filone di discorso.

Snobismo di massa

Landi intende con “snobismo di massa” la diffusione di una modalità dell’apparire per l’apparire che, all’inizio del secolo, era appannaggio solo del dandy, appunto, dello snob.

Da un'ottica più sociologica Vanni Codeluppi parla di "consumare su misura":
"Oggi il bisogno di sentirsi diversi è sempre più stimolato, da un lato dall'omologazione creata dalla saturazione dei principali mercati e dall'affollamento dei canali comunicativi, dall'altro dalla disgregazione del tessuto sociale che libera i soggetti dalla soggezione ai tradizionali status di riferimento." Ci stiamo muovendo dunque verso una paradossale "società individualistica di massa", nella quale ciascuno vuole sentirsi ed essere trattato come se fosse unico, anche se in realtà è molto simile a tutti gli altri. Vorremmo concludere questa parte travalicando l'ambito professionale. Il tema è troppo importante nella sua globalità per non avviare su di esso una riflessione e cediamo quindi la parola a Ugo Volli: "Favoloso o no, in realtà si tratta sempre di nichilismo, cioè di una certa mancanza di contenuto, di un certo vuoto fondamentale, di una malattia. Che nel pensiero di Nietzsche è però legata a un altro tema molto famoso e disgraziatamente molto praticato negli ultimi cento anni, quello della volontà di potenza” Ed aggiunge Volli "oggi la volontà di potenza vive dappertutto come marketing." (Per il politeismo - ed. Feltrinelli - pag. 197) È difficile dire se la volontà di potenza viva normalmente nella nostra epoca come marketing, sicuramente essa però è inserita nell'individualismo del consumatore, nella sua voglia di esprimersi, quasi a dimostrare, a se stesso e agli altri, di essere l'artefice unico della propria vita e del proprio destino. Ma è proprio vero che non esiste più un agire di consumo collettivamente condiviso? E se la risposta fosse no, come si concilierebbe con le analisi della Weil? L'esperienza quotidiana ci dice fenomenologicamente che in realtà le persone continuano a servirsi di prodotti e marche, come è sempre successo e, non sembrano essere avvenute le rotture traumatiche di cui parla la Weil.

L'autoconsumo

Come scriveva già Edgard Morin nel 1962: "II consumo dei prodotti diviene, nello stesso tempo, l'autoconsumo della vita individuale. Ciascuno tende non più a sopravvivere nella lotta contro il bisogno, non più a ripiegarsi sul focolare domestico, non, inversamente, a consumare la vita nell'esaltazione, ma a consumare la propria esistenza." (L'industria culturale - ed. Il Mulino - pag. 71). Il fenomeno della destrutturazione dei consumi viene dunque da lontano, è un fatto strutturale, con cui la comunicazione e, in particolare, il pensiero strategico deve e dovrà fare i conti. Questa tendenza è stata approfondita da una ricercatrice francese, Pascale Weil. La Weil basa il suo lavoro su una serie di trend che riguardano la Francia, ma che hanno uguale valore, con cifre evidentemente diverse, anche in Italia:
  • l'aumento delle convivenze, che segnala un rapporto tendenzialmente precario nella coppia
  • l’aumento dei celibi, con parola inglese i single, spesso con alti redditi a disposizione
  • l’aumento dei divorzi e la diminuzione dei matrimoni, il progressivo allentarsi quindi dei vincoli, anche di quelle famiglie mononucleari di cui tanto si è parlato negli anni 70
  • l’aumento della classe medio-alto con una forte tendenza al consumo
  • la riduzione delle relative differenze salariali dopo il 1968
Questi fenomeni hanno avuto l'effetto di innescare un processo di diffusione dell'individualismo, che ha trovato nei consumi la sua massima espressione. La Weil ha coniato un termine per questa tendenza, e parla di "società psicomatriciale", cioè di una società a matrice psichica, nella quale sono andali perduti i significati globali dell'agire di consumo, ed il consumatore tende ad aggregarsi per singoli significati, in singoli progetti di consumo. In altre parole, non esiste più un'identità di gruppo (intendendo per gruppi quelli portatori di un significato globale, come per esempio "progressisti", "arcaici", ecc.) nella quale il consumatore si riconosca, ma al contrario egli decide di volta in volta quello al quale intende appartenere,. Ciò provoca aggregazioni momentanee, che la Weil chiama tribù.
Da un osservatorio assai diverso, quello della moda, Paolo Landi conferma queste osservazioni della Weil, usando il concetto, messo a punto da Pierre Boudieu di "distinzione invidiabile": "II desiderio di distinzione invidiabile vi ha un posto almeno uguale, soprattutto quando si tratta della diffusione della moda. Ognuno tiene a dimostrare col proprio abito, con gli oggetti di cui si serve e la cornice della sua esistenza, i suoi gusti e l’alta categoria sociale alla quale appartiene."

Destrutturazione del consumo

Approfondiamo ora il tema che abbiamo trattato in rapporto alle ricerche psicografiche, e cioè quello della destrutturazione del consumo. E' un fenomeno che si colloca alla confluenza di tendenze diverse:
  • da un lato quella dell'espressività, che si coniuga con una ricerca di originalità e di creatività, come se il consumatore volesse divenire la marca di se stesso;
  • dall'altra la ormai avvenuta assimilazione dei consumi ad un comportamento quotidiano, anzi, al comportamento quotidiano per eccellenza.
Il primo aspetto è una delle tendenze fondamentali, in certo senso metafisica, della società moderna. L'espressività è una materializzazione del valore della libertà, ed è stata una scoperta dei movimenti studenteschi del '68. È anche il risultato di quella che potremmo chiamare una "società degli oggetti", è cioè molto naturale che la fine i consumatori cerchino di personalizzare ed interiorizzare dei comportamenti, che dovrebbero comunque tenere. Tuttavia non dobbiamo pensare che questa sia un'esclusiva della società dei consumi, in realtà lo è di tutte le società umane. Gli oggetti hanno sempre avuto un valore simbolico e si è sempre consumato questo valore. II punto fondamentale che ci differenzia da altre situazioni, è la forte impronta individualista che il consumo di simboli assume nella nostra società. L'altro elemento è una causa, se possiamo dirlo, ancora più profonda e specifica. Il consumo era nato come attività marginale, riservata alle classi agiate, ed è stato nel corso di questo secolo che ha iniziato ad estendersi, insieme con l'espandersi dell'industrializzazione. È stato nel dopoguerra che quel concetto è nato, e si è sviluppato come abbiamo visto con riferimento alla società italiana. Il consumo è però una cultura, un atteggiamento, un modo di essere. Si può consumare di tutto, anche religione (si pensi alle sette negli Stati Uniti), arte e pensiero. Grazie a questa estrema duttilità la cultura del consumo è ormai divenuta uno degli elementi dominanti della cultura delle società moderne, e investe il fondamento stesso della personalità.

2° dubbio sulle Ricerche Psicografiche

L’altra ragione è più sottile e difficile da dimostrare, ma altrettanto importante.Oggi il valore del consumo risiede sempre più in una sorta di comportamento trasversale, volto a manifestare una unicità di espressione personale. In queste condizioni è vero che alcuni gruppi possono essere aggregati attorno a stili di comportamento o di vita, ma risulta molto difficile partire da quest’ultimi, per costruire un’efficace discorso di marca. Uno stile di vita, dopotutto, non è una promessa, e non è neppure una personalizzazione, infatti ciò che appartiene ad un segmento non è mio, ma del segmento. E non è neanche vero che a livello di motivazione profonda si vogliono seguire dei modelli, al contrario le ricerche cui ci è capitato di partecipare in molti anni di lavoro dimostrano che l'ideale è manifestarsi, esibirsi, differenziarsi, essere sempre se stessi. Vi sono molti sintomi, come ad esempio il rifiuto delle griffes dell'abbigliamento, in favore di ristrutturazioni personali. In queste condizioni il problema della strategia di comunicazione o di creare un discorso di marca che possa rimanere aperto all'interpretazione personale, e non che identifichi il consumatore con un segmento. Del resto, su questa prospettiva di obsolescenza delle ricerche psicografiche consente anche Codeluppi, che anzi aggiunge a quelle già fornite una serie di motivazioni in più, che però portano alle nostro stesse conclusioni. Scrive in sostanza Codeluppi che le psicografiche hanno difficoltà ad individuare non soltanto gli stili personali di consumo, ma anche quelli condizionati dalle culture locali che oggi hanno, in quanto "orizzonte riconoscibile" (l'espressione è nostra, non di Codeluppi) un loro fondamentale valore di riferimento. Questo tipo di ricerche mantiene una sua utilità in particolare nell'area "media", dove può essere interessante conoscere lo stile di vita del target per permettere una valutazione del mezzo potenziale, in rapporto al tono della comunicazione di marca. Ma dobbiamo confermare in conclusione che questa modalità appartiene sempre di più al passato, ad un consumatore che doveva, almeno a livello di immagine, ricercale sicurezza in un gruppo di riferimento.

1° dubbio sulle Ricerche Psicografiche

La prima ragione, è che queste ricerche sono centrate sui valori. Ora certamente i valori sono importanti come base dell'immaginario di marca, ma siamo ben lontani dall'esaurirlo. Quanti sono oggi i prodotti che si accalcano nell'area della natura, dell'ecologia, della fitness, della semplicità, della qualità? Molte decine per ognuno di questi segmenti. I valori dunque non sono più sufficienti, perché molto spesso non è il contenuto che dà forza e pregnanza alla comunicazione, quanto piuttosto il tono o la sua particolare configurazione simbolica. Oggi infatti si devono costruire all'interno del discorso della marca delle vere personalità di marca, e si deve rendere riconoscibile per stile e contenuti simbolici il libro scritto dalla marca stessa, tramite la sua comunicazione.
Il problema strategico principale dunque, non è più quello di individuarne i valori portanti, ma la configurazione discorsiva che veicolerà la personalità esclusiva della marca. Rimane quindi confermata l'utilità di queste ricerche, che però definiscono una "grande area", che oggi non può esaurire la strategia di comunicazione, chiamata a combattere battaglie molto dure sul terreno “ristretto” della strategia discorsiva.

Le Ricerche Psicografiche sono efficaci?

Una delle teorie che ha più penetrato il mondo professionale delle Agenzie e delle Aziende clienti era quella che partiva dalla premessa che i consumatori si dividessero in gruppi omogenei, ciascuno con un suo peculiare atteggiamento verso il consumo.
Certamente questi strumenti hanno svolto un ruolo culturale molto importante abituando le aziende italiane a pensare alla marca come a un problema connesso con il divenire della società e dunque di lungo termine, ma dobbiamo chiederci se questi strumenti siano ancora efficaci per costruire l’immagine della marca in maniera esclusiva. La nostra risposta è dubitativa per due ordini di ragioni.

lunedì 18 febbraio 2008

Categorizzazione Brand: Lo sfizio

Lo sfizio, difficile da descrivere ma di forte valenza emotiva, ha un'alta intensità nella possibile decrizione della definizione di marca e nello stesso tempo come driver primario d'acquisto. Cos'ha allora di prioritario?
Il ludico, tanto per cominciare, ha due facce: la faccia interna, la quale serve soprattutto per autoaffermazione, come autogratifica di e per se stessi. E' un'autoaffermazione di giustezza comportamentale, anche se non morale.
Il comportamnto si riflette sul lato sociale, e quindi e' un atto dimostrativo, di affermazione nello spazio esistenziale a nostra disposizione, questo "allarga" tale spazio con un'affermazione forte, in quanto gratuita, quasi rituale. Il rito infatti si basa su azioni esteriori apparentemente gratuite ma che servono a legarsi ad un certo senso di affermazione sociale, ognuno diverso.

venerdì 15 febbraio 2008

Il rito nel Brand Tribale

Questo aspetto la colora di tinte molto particolari, e a ben pensarci bisogna cercar di capire perché questo aspetto è importante nei “giri” chiusi rappresentati dalle moderne Tribù.
Il mio pensiero ha prodotto questo snocciolamento di argomentazioni:
IL RITO
Parto da questa definizione che mi sono auto-costruita:
sequenza precostituita e fissa di atti meccanici gratuiti, fisici, gestuali, verbali, che rimandano a qualcos’altro (simbolismo).
Il rito e’ presente nel corteggiamento e nell’atto sessuale, ma tra i due prevale la ritualità nel corteggiamento.
Il sesso poi e’ un atto meccanico che sembrerebbe insensato se non avesse le sue valenze emotive sensoriali e ancestrali.
Il corteggiamento e’ allora l’archetipo, il referente, il datore di senso del rito.
Il matrimonio si puo’ pensare come la sublimazione del corteggiamento: e’ il momento culminante del corteggiamento, in cui si ritualizzano le fasi dell’avvicinamento, del corteggiamento a gesti e a parole, fino alla consumazione dell’atto sessule, non mostrata ma chiaramente ritualizzata dal bacio e dalla partenza verso l’intimita’ con ammiccamenti più o meno volgari e nello schiamazzo generale.
Per questo il rito e’ qualcosa che richiama la sessualità, ed ecco perchè le marche tribali hanno un sentore sensuale piu’ o meno manifesto.
L’altro ambito in cui il rito s’e’ sviluppato come comportamento compulsivo, è quello della lotta.
Nel sesso maschile degli animali superiori, quando la lotta può portare a danni gravi all’altro individuo, essa si è raffinata a comportamenti simbolici che hanno come segno la lotta vera e propria.
Questo serve a eseguire una lotta simbolica, stilizzata dal punto di vista estetico.
Con ciò si risolvono i conflitti interrazziali senza spargimento di sangue, negativo per la specie e per la società.
Ecco che questo secondo capisaldo del rito è entrato anch’esso nello spirito della Tribù: se accettiamo l’archetipo del macho sull’Harley con la bionda in hot-pants allora il quadro è completo.

Econologia & Ecomarketing

L'Ecologia del Mercato

Il Mercato è un sistema di interscambio su più livelli, che implica infinite possibilità di rapporti, apparentemente caotici ma regolati, come ogni sistema complesso, su equilibri e mutamenti continui, che potremmo equiparare all'ecologia, dalla quale prendiamo il nostro spunto.
Le teorie economiche e il marketing tentano di capire e controllare le regole di questi interscambi.

Troviamo la definizione di ecologia sull'Enciclopedia (il grassetto è nostro):
"studio dei rapporti fra soggetti economici, prodotti e consumatori, e l'ambiente o mercato. L'econologia studia l'area di diffusione dei prodotti in un ambiente con determinate caratteristiche (mercato), nel quale ogni prodotto ha una propria collocazione e propri rapporti con gli altri soggetti economici (nicchia o segmento di mercato). Il gruppo di prodotti che occupa una nicchia o segmento di mercato dicesi tipologia di prodotto; offerta è invece l'insieme delle tipologie di prodotti di un dato mercato. L'ambiente o mercato e l'offerta formano un ecosistema, che tende a mantenersi costante.
Nello studio dell'econologia rientrano l'analisi delle possibilità di profitto, le vendite, la comunicazione, gli ambienti economici (di produzione manifatturiera, agricoli, di trasformazione, di servizio), le comunità biotiche o biocenosi, i biomi, cioè l'insieme di biocenosi in un ambiente, l'estinzione di marchi, gli squilibri provocati dall'introduzione di nuovi prodotti, la simbiosi, il parassitismo, le colonie ecc...
A seconda del prevalente interesse di studio l'econologia si distingue in tre indirizzi fondamentali: l'autoeconologia si occupa delle relazioni tra determinati prodotti e i fattori ambientali, cioè economico-fisici, di un determinato ambiente; la sineconologia indaga i rapporti tra i diversi prodotti presenti in un certo ambiente; l'econologia applicata applica concetti e metodi econologici alla risoluzione di problemi pratici (per esempio, nel campo della comunicazione, della distribuzione, della produzione, della globalizzazione ecc...)."