venerdì 18 aprile 2008

Semiotica e psicanalisi

La semiotica come la psicanalisi? Ho pensato da parecchio tempo che Freud avesse autorizzato chiunque, con le sue teorie, a creare illazioni di stampo suggestivo fornendo interpretazioni fantasione su qualunque cosa e in particolare sull’interpretazione di diversi livelli di vita psicologica delle persone. Per fare un brutto esempio, nella psicanalisi si può affermre che due rette parallele s’incontrano a Pechino, e tramite associazioni libere, analisi di sogni, parentali, sessuali, vengo a dire che a Pechino due rette parallele si sono incontrate, allora ho dimostrato le rette parallele s’incontrano a Pechino. Ho poi trovato nella semiotica la stessa strategia freudiana di descrizione della personalità, cioè una costruzione basata sull’ipotesi dell’esistenza di un substrato di valori di base, l’assiologia, valori che si esprimono nel “racconto” per esplicitare le proprie valenze di lettura e interpretazione, interpretazione fornita come lettura simbolica. Uno sviluppo, quindi, simile alla “risalita“ psicanalitica della coscienza a partire dal calderone delle pulsioni primarie dell’Es attraverso il Super-io fino al livello cosciente di fruizione cognitiva dell’Io, grazie a legami simbolici sequenziali. Chiunque abbia imparato il trucco e abbia un po’ di fantasia – e Freud ne aveva moltissima – puo’ costruirsi un sistema autonomo, completo, dogmatico e quindi auto-confermantisi. Questo sistema teorico prevede una struttura a livello duale di “strato significante” depositario del “vero significato nascosto” e “strato significato” visibile a livello superficiale cognitivo. Poichè il livello profondo, inconscio o primario, non è descrivibile se non con strumenti d’analisi e d’interpretazione simbolica, io posso attribuire e descrivere rapporti incrociati più o meno suggestivi, e affermare che questo è “il mondo degli uomini”. Questo sviluppo epistemologico inferenziale dal particolare al generale, dall’Es all’individio totale, e dall’individuo alla società intera, tra l’altro, Freud l’ha derivato dalla filosofia classica, la quale partendo dalla verifica di un’ipotesi limitata e trovandone conferme logiche e/o sperimentali, tende a trasferira la credibilità della sua dimostrzione a tutto ciò che ad essa è correlato, e così a catena fino a comprendere l’universo mondo, e costruire ogni volta una nuova cosmogonia. Per tornare a noi, questo quadro mi è sempre stato abbastanza chiaro, fino a quando, invece, ho capito che la semiotica ha una base logica più semplice, e avendo una sua dignità e verginità, non è figlia della psicanalisi, ma della logica applicata al significato, nell’esplorazione del significato ultimo dell’uomo. Il quadrato semiotico di Floch, capisaldo del caleidoscopio semiotico, ha in realtà più un’origine o ispirazione logico-matematica, e come la psicanalisi proclama di poter descrivere il vero legame tra i valori profondi della Marca e le istanze di vita del consumatore. Il punto di partenza è stabilire quale valore “primario” “inconscio” mettere come pietra angolare dell’analisi, e il risultato dev’essere una descrizione logica stringente del fenomeno “visibile” finale, cioè il comportmento del consumatore. Da questo punto di partenza, o valore primario, s’ipotizza che esista un fenomeno ad esso contrario, poso come contro-ipotesi da verificare, e sulla distanza tra i due. Se cioè esiste un fenomeno visibile (A), esisterà anche un fenomeno che ne limita la visibilità, cioè una tendenza al “non visibile”, diciamo “contro-A”. Poniamo anche come ipotesi da verificare che esista un fenomeno speculare (B), e di conseguenza anche una tendenza al rendere non visibile il fenomeno contrario (“contro-B”). In termini matematici è come dire che se esiste la quantità “valore” 3, esiste qualcosa che lo può diminuire, cioè per esempio la quantità “valore di diminuzione” 2, che dà come lettura +3 -2= +1. Questo mi porta a dover esaminare e descrivere i valori “quantità +” e “quantità -“. Ma se esite la quantità “valore 3” potrebbe esistere in linea teorica – e andiamo a cercarlo – anche il suo contrario, cioè il valore -3 nel campo delle quantità negative. Se quindi esiste il valore -3 potrebbe esistere sempre in linea teorica – e andiamo a cercarlo – il suo contrario che lo limita, cioè il valore - - 2 nel campo dei numeri negativi, che leggeremo come -3+2= -1. In questo caso cercheremo di descrivere il valore negativo e il suo contratrio, cioè il valore positivo in campo negativo. Ecco che abbiamo fatto un quadrato a partire da un fenomeno di base: il numero 3, e dall’analisi assiologica di “positivo e “negativo” ad esso applicata. Cosi’ come questo numero, possiamo sostituire un qualunque fenomeno, a cui accompagnare una descrizione in termini di “valore”, e infine descrivere i rapporti tra gli occupanti dei quattro angoli del quadrante declinado per ognuno di essi le connotazioni “negative” e “positive”. Questi fenomeni di esempio mostrano che questo sistema si basa sul significato generale valido per tutto, cioè “fenomeno esistente” e “fenomeno limitante”, una logica binaria assoluta, all’interno della quale posso mettere di tutto, e su questa base costruire infiniti quadranti e infinite possibilità di relazione, tutte giustificate dal solo fatto di essere poste come ipotesi e dall’applicazione della stessa logica. Il tratto comune con la psicanalisi, a questo punto, direi che è un altro: è la capacità di porre un’ipotesi e di svilupparla con una serie di deduzione di altre ipotesi concatenate che si autoconfermano, per cui alla fine il risultato, posto come fenomeno reale, conferma i passaggi intermedi, e l’ipotesi iniziale viene quindi confermata come assioma dalla bontà dei passaggi e dalla “credibilità” della soluzione finale.

venerdì 29 febbraio 2008

Consumo simbolico (2)

Questo processo è importante, e costituisce il vero cuore della strategia di comunicazione di marca, vorremmo indicarlo con un'espressione propria, che lo definisca, ed optiamo per "risemantizzazione della marca".Quello che abbiamo infatti appena descritto, è in realtà un processo di continuo aggiornamento e risignificazione della marca, in adeguamento alle mutevoli realtà del consumo. Esso vuol dire, in profondità, che una marca non può più contare su di un significato acquisito per sempre, che deve riconquistarlo costantemente. E comprendiamo anche meglio, ora, in che senso i consumatori siano coautori dell'agire di consumo e della stessa storia delle marche: perché attraverso l'integrazione fantastica anticipata, essi scrivono un proprio personale libro dell'agire di consumo ed una propria personale storia della marca. La marca si trasforma così da faccenda propria del produttore, da mero oggetto commerciale, in un fatto culturale di proprietà collettiva, scritto insieme dall'Azienda, dai suoi uomini di marketing, dai professionisti della comunicazione, e dai consumatori. Rientrando nell'ambito professionale, questa osservazione ci spinge immediatamente a formularne un'altra, sul problema della coerenza. Coerenza non può voler dire semplicemente linearità nel discorso della marca, anche se questa ne è componente essenziale. Non esiste coerenza vera se la strategia discorsiva non è in qualche modo concordata con il consumatore, o si svolge al di fuori del processo di risemantizzazione. Vi sono alcune teorie che sembrano ignorare questa importante funzione del consumatore.
Negare il valore relazionale e affettivo della marca, risolverla completamente in se stessa, è un errore che può costare molto caro, perché implica un potere di significazione quasi obbligante delle formazioni simboliche inerenti alla marca.
La via giusta è invece, come ci pare di avere osservato, quella che tende a coinvolgere il consuma nel processo, rendendogli possibile un'interpretazione personale dell'atto di consumo proposto dalla marca.

Consumo simbolico (1)

Non è tanto la realtà che conta, ma il modo in cui viene vissuta dai consumatori. La nostra ipotesi è che il consumo simbolico, che Giampaolo Fabris ha chiamato la "rivoluzione copernicana della pubblicità" stia schiacciando quello funzionale; e i valori dell'immaginario quelli d'uso. Dunque quella da noi descritta sarebbe una situazione schizofrenica tra un momento del significato simbolico dell'oggetto, che viene personalizzato divenendo una parte dell'espressione del sé, ed il momento reale, concreto, dell'uso strumentale.
Ora, per ritornare all'inizio di questo intervento, tutto questo pone certamente un grande problema di comunicazione, ma vorremmo notare subito che esso rende ancor più necessario, ancor più centrale, l'immaginario della marca. L'immaginario della marca diventa allora una specie di ponte tra il momento della richiesta di un agire di consumo solo espressivo della propria personalità e la realtà strumentale del prodotto. Dunque, al contrario di quello che si intende talvolta dire, la marca non è meno importante oggi, ma è al contrario più importante, proprio perché instaurando un rapporto di significato che il consumatore sente come proprio, essa può contribuire a ristrutturare il destrutturato agire di consumo. O, visto da un'altra prospettiva, se l'oggetto di consumo non è più il portatore di un significato globale (come poteva essere il caso dei beni di cittadinanza di Alberoni, o del passaggio a Nord Ovest di Fabris, che in fondo era la riproposizione di beni di cittadinanza a livello culturale), è l'immaginario di marca che deve farsi portatore di un progetto di senso, riferito all'agire di consumo di quella singola marca. Correttamente allora ne concludiamo che la marca, nonostante la realtà della "private labels" e d i problemi di rapporto con i consumatori, è ancora importante, anzi è ancora più centrale.
Certo esiste ancora un target, purché non si pensi di trovarlo già costruito attorno ad una qualche variabile del sociale o del mondo psichico, purché sostanzialmente lo si aggreghi attorno ad un progetto dell'agire di consumo, e lo si faccia attraverso la giusta strategia simbolico-affettiva, nel corretto filone di discorso.

Snobismo di massa

Landi intende con “snobismo di massa” la diffusione di una modalità dell’apparire per l’apparire che, all’inizio del secolo, era appannaggio solo del dandy, appunto, dello snob.

Da un'ottica più sociologica Vanni Codeluppi parla di "consumare su misura":
"Oggi il bisogno di sentirsi diversi è sempre più stimolato, da un lato dall'omologazione creata dalla saturazione dei principali mercati e dall'affollamento dei canali comunicativi, dall'altro dalla disgregazione del tessuto sociale che libera i soggetti dalla soggezione ai tradizionali status di riferimento." Ci stiamo muovendo dunque verso una paradossale "società individualistica di massa", nella quale ciascuno vuole sentirsi ed essere trattato come se fosse unico, anche se in realtà è molto simile a tutti gli altri. Vorremmo concludere questa parte travalicando l'ambito professionale. Il tema è troppo importante nella sua globalità per non avviare su di esso una riflessione e cediamo quindi la parola a Ugo Volli: "Favoloso o no, in realtà si tratta sempre di nichilismo, cioè di una certa mancanza di contenuto, di un certo vuoto fondamentale, di una malattia. Che nel pensiero di Nietzsche è però legata a un altro tema molto famoso e disgraziatamente molto praticato negli ultimi cento anni, quello della volontà di potenza” Ed aggiunge Volli "oggi la volontà di potenza vive dappertutto come marketing." (Per il politeismo - ed. Feltrinelli - pag. 197) È difficile dire se la volontà di potenza viva normalmente nella nostra epoca come marketing, sicuramente essa però è inserita nell'individualismo del consumatore, nella sua voglia di esprimersi, quasi a dimostrare, a se stesso e agli altri, di essere l'artefice unico della propria vita e del proprio destino. Ma è proprio vero che non esiste più un agire di consumo collettivamente condiviso? E se la risposta fosse no, come si concilierebbe con le analisi della Weil? L'esperienza quotidiana ci dice fenomenologicamente che in realtà le persone continuano a servirsi di prodotti e marche, come è sempre successo e, non sembrano essere avvenute le rotture traumatiche di cui parla la Weil.

L'autoconsumo

Come scriveva già Edgard Morin nel 1962: "II consumo dei prodotti diviene, nello stesso tempo, l'autoconsumo della vita individuale. Ciascuno tende non più a sopravvivere nella lotta contro il bisogno, non più a ripiegarsi sul focolare domestico, non, inversamente, a consumare la vita nell'esaltazione, ma a consumare la propria esistenza." (L'industria culturale - ed. Il Mulino - pag. 71). Il fenomeno della destrutturazione dei consumi viene dunque da lontano, è un fatto strutturale, con cui la comunicazione e, in particolare, il pensiero strategico deve e dovrà fare i conti. Questa tendenza è stata approfondita da una ricercatrice francese, Pascale Weil. La Weil basa il suo lavoro su una serie di trend che riguardano la Francia, ma che hanno uguale valore, con cifre evidentemente diverse, anche in Italia:
  • l'aumento delle convivenze, che segnala un rapporto tendenzialmente precario nella coppia
  • l’aumento dei celibi, con parola inglese i single, spesso con alti redditi a disposizione
  • l’aumento dei divorzi e la diminuzione dei matrimoni, il progressivo allentarsi quindi dei vincoli, anche di quelle famiglie mononucleari di cui tanto si è parlato negli anni 70
  • l’aumento della classe medio-alto con una forte tendenza al consumo
  • la riduzione delle relative differenze salariali dopo il 1968
Questi fenomeni hanno avuto l'effetto di innescare un processo di diffusione dell'individualismo, che ha trovato nei consumi la sua massima espressione. La Weil ha coniato un termine per questa tendenza, e parla di "società psicomatriciale", cioè di una società a matrice psichica, nella quale sono andali perduti i significati globali dell'agire di consumo, ed il consumatore tende ad aggregarsi per singoli significati, in singoli progetti di consumo. In altre parole, non esiste più un'identità di gruppo (intendendo per gruppi quelli portatori di un significato globale, come per esempio "progressisti", "arcaici", ecc.) nella quale il consumatore si riconosca, ma al contrario egli decide di volta in volta quello al quale intende appartenere,. Ciò provoca aggregazioni momentanee, che la Weil chiama tribù.
Da un osservatorio assai diverso, quello della moda, Paolo Landi conferma queste osservazioni della Weil, usando il concetto, messo a punto da Pierre Boudieu di "distinzione invidiabile": "II desiderio di distinzione invidiabile vi ha un posto almeno uguale, soprattutto quando si tratta della diffusione della moda. Ognuno tiene a dimostrare col proprio abito, con gli oggetti di cui si serve e la cornice della sua esistenza, i suoi gusti e l’alta categoria sociale alla quale appartiene."